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Un Ospedale nel cuore dell'Amazzonia
Scritto da Carla Menaldo - Il Giornale di Vicenza   
Mercoledì 02 Settembre 2009 11:42

Un'ospedale missionario nel cuore dell'Amazzonia. Questo il progetto, già in stato avanzato e presto aperto per le prime attività sanitarie, di cui è responsabile Padre Franco Vialetto, comboniano veneto di nascita, e precisamente di Nove in provincia di Vicenza.

Padre Franco vive in Brasile da trent'anni e quando arrivò in Rondonia nel distretto di Cacoal la popolazione residente era costituita perlopiù da indios Suruì, Cabeca Seca e Cinta Larga e pochi agricoltori per un totale di circa 2-3000 persone. Oggi a Cacoal, la citta della Rondonia dove ha sede l'ospedale, conta 80.000 abitanti, ma è punto di riferimento per una popolazione di circa 400.000 persone distribuita nel raggio 3-400 chilometri, prevalentemente dediti alla coltivazione del caffè e del cacao, e all'allevamento.

Ormai cittadino del mondo, Padre Franco porta ben visibile nella sua attività i segni distintivi che per tradizione appartengono alla gente veneta, quel pugno di “terra in  tasca” che lo unisce alle origini, a un popolo che fu contadino e lavoratore, capace di costruire e progredire, ora motore tra i più attivi di un’economia nazionale che ha frenato la sua corsa, messa in crisi dai mercati emergenti e dalle nuove dinamiche scocio-economiche.

Padre Franco ha già istituito in Rondonia una Scuola di Agraria, dove far studiare i figli dei poveri e dei contadini, oggi riconosciuta dallo Stato del Brasile, per cui gli studenti possono sostenere l’esame per l’accesso agli studi universitari, e una Scuola Professionale per i Ragazzi di Strada, che accoglie 300 adolescenti cui viene insegnato un lavoro.

A queste si aggiunge ora l’Ospedale Saõ Daniel Comboni, costruito in cooperazione internazionale tra differenti soggetti: “Ingegneri Oltre”, Onlus con sede a Milano; Associazione Industriali Bassanesi; Regione Veneto; OnG “Senza Frontiere”, Milano; Associazione Banche Popolari dell’Alto Vicentino.

In un paese, come il Brasile, in cui la sanità è ancora di fatto tutta privata, la costruzione di questa struttura ospedaliera si configura come una necessaria e importantissima “opera pubblica”.

La gente muore perché non ha i soldi per curarsi, perché uno stipendio medio equivale a circa 70-100 euro, e una visita specialistica privata costa quanto un mese di stipendio, per non parlare di quanto può costare un’operazione. Una situazione che incrementa le favelas e la poverà estrema, che impedisce progresso e sviluppo, compromettendo la crescita e l’evoluzione di un paese che, nonostante le grandi potenzialità e gli sforzi di molti, stenta a trovare una propria posizione nel panorama economico mondiale.

Le strutture sanitarie sono il primo e il più importante passo, insieme all’istruzione, verso il superamento di condizioni che impediscono il completo sviluppo di una società ispirata alla piena attuazione dei diritti umani, capace di evolvere nel nome di un progresso e di un benessere uguale per tutti o, comunque, accessibile a tutti.

La realizzazione dell’Ospedale prevede la costituzione dei principali servizi ospedalieri in un padiglione centrale: pronto soccorso, emergenza e fast sanity; servizi diagnostici, laboratori analisi e ambulatori; sale operatorie e di rianimazione. Ma non è tutto, in linea con le più avanzate strutture sanitarie, sono previste costruzioni residenziali, case per ospiti, medici e suore, una sede amministrativa, lavanderia, cucina, mensa, padiglioni di degenza e, naturalmente, una Cappella.

Molti i medici che ci lavorano e ci lavoreranno. Tra questi, il dottor Claudemir Borghi, otorinolaringoiatra che sottrae il tempo alla propria attività privata di medico per fare volontariato presso l’Ospedale Saõ Daniel Comboni.

«Sono affascinato da tutta questa storia – ha affermato nel corso della sua visita a Padova lo scorso ottobre -, una storia che è la mia e che fino ad oggi era solo l’immagine fatta di parole che mi avevano trasmesso i miei genitori. Mia nonna infatti era padovana e mio nonno di Mantova.».

Claudemir è un medico giovane, sorridente, con l’entusiasmo e la vitalità di chi sa ancora stupirsi, di chi è abituato a vedere povertà, malattie, sofferenze. Un medico come da noi ce ne sono rimasti pochi, dove il lato umano, come voleva Ippocrate, affianca e sostiene la scienza, nella consapevolezza che l’uomo è fatto di carne e spirito, di corpo, mente ed emozioni, in un rapporto unico e indissolubile.

Davanti al cinquecentesco Teatro Anatomico dell’Università di Padova, uno dei più antichi in Europa, che ha segnato una vera rivoluzione nell’insegnamento della medicina, Claudemir Borghi ha spalancato gli occhi commentando in un italiano frammisto al portoghese «È un’emozione grande, molto grande essere qui e vedere proprio nella città in cui risiedono le mie origini come uomo anche le origini della mia professione».

Come purtroppo succede in molti paesi del Sud del Mondo, anche in Brasile i finanziamenti stanziati per la realizzazione di opere pubbliche vengono fagocitati da interessi locali, dalla imperversante corruzione  e spesi per scopi per lo  più personalistici e molto poco trasparenti. È il caso di un altro ospedale in costruzione da quindici anni a Cacoal, ma forse è meglio dire “fermo” da quindici anni in una città troppo lontana dai centri di governo e di potere, dove non ci sono forti interessi ad investire.

Quando Padre Franco ha iniziato la costruzione dell’ospedale, è stato sostenuto con convinzione dagli abitanti del posto, che finalmente vedevano realizzarsi concretamente una grande speranza, tanto che moltissimi di loro hanno prestato gratuitamente il loro lavoro nelle giornate libere in sostegno all’importante opera. E, tra questi, molti gli oriundi italiani, e veneti in particolare.

«Un giorno – racconta Padre Franco – è venuto da me un contadino, dopo aver percorso molta strada in bicicletta in mezzo alla foresta. Ti ho portato mia figlia, mi dice. Ma io non vedo nessuno tranne lui e una cassetta legata dietro la bici. Quando la apre ne esce una puzza terribile, e mi mostra la sua bambina. È morta da quattro giorni, mi dice, l’ho portata perché tu la seppellisca come vuole Dio.

Ho capito che non si poteva morire così, che dopo aver dato loro luoghi dove pregare, scuole e la possibilità di lavoro, dovevo fare qualcosa anche per la salute di quel popolo».

«Poi è venuto a trovarmi Giuliano Menaldo, un amico medico di Padova che, dopo aver visto il nostro pronto soccorso, mi ha detto: Franco, perché non costruisci un ospedale? Con l’aiuto di tutti sono sicuro che puoi farlo. Era la spinta che mi mancava, così mi sono messo all’opera».

Il pronto soccorso di cui parla Padre Franco è una porta su un’unica stanza sporca e male illuminata e, fuori in strada sedute su delle cassette di frutta rovesciate due persone con una flebo in vena. Nessuno voleva andare lì, era l’anticamera ella morte.

«Dopo una comprensibile diffidenza iniziale - prosegue Padre Franco – le autorità locali ci hanno dato sostegno aiutando la realizzazione dell’ospedale adeguando la rete fognaria e quella dell’energia elettrica, e costruendo un apposito pozzo. Così il Ministero della Salute del Brasile e il Governo di Rondonia, dove peregrino sempre alla ricerca di fondi, hanno chiesto la costruzione di un padiglione oncologico sostenuto direttamente da loro. Non solo, è stata rapidamente  costruita vicino all’ospedale una Facoltà di Medicina e Chirurgia privata, così la nuova struttura ospedaliera sarà il punto di riferimento per il praticantato dei futuri medici».

 

L’Ospedale Saõ Daniel Comboni ha bisogno dell’aiuto di tutti.

Chi volesse cooperare può direttamente accedere al conto corrente locale:

 

Ospedale San Daniele Comboni

C/C 16268

Banca San Giorgio e Valle Agno

Filiale San Giorgio di Perlena

ABI 8807

CAB 60380