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Il giorno prima del Sessantotto
Scritto da Carla Menaldo - l Corriere del Veneto   
Mercoledì 02 Settembre 2009 10:25

Quarant'anni fa giusti era il Sessantotto. Il dopo è sotto gli occhi di tutti, dappertutto.

E prima?

Quello che c'era prima l'abbiamo sentito raccontare, o letto nei libri di storia, ma non ci appartiene, in fondo. O sì? Ad alcuni, sì. Quelli che nel Sessantotto c'erano da "grandi", quelli che adesso hanno sessant'anni o giù di lì. Come Giorgio Dell'Arti, ad esempio.

Esce la riedizione de Il giorno prima del Sessantotto (Marsilio, € 8,00), il romanzo in cui il giornalista Dell’Arti ci presenta un “piccolo mondo antico” dove l’Italia del dopoguerra tentava la risalita, dove l’istruzione – quella universitaria - dava accesso alla società che conta, dove nasceva una nuova borghesia, diversa nei valori e nello spirito dalla precedente, che si avviava a istituire quella classe di mezzo che ha costituito nei decenni successivi il perno dell’economia e dello sviluppo. Eppure è un “mondo antico” ma non troppo, quello del futuro sessantottino Aurelio, dove già si annusano i fermenti di una “rivoluzione” inevitabile, dove la frattura generazionale si fa più fonda e motivata che in passato, e tutto è carico e denso di un’attesa che è movimento, fervore, quasi isterico e incontrollabile bisogno.

Carlo e Salvatrice sono i genitori che non vanno neanche al cinema pur di comprarsi la casa, Aurelio è il figlio che avrebbe dovuto essere un Grande Scrittore e che intanto si limita a vestire solo maglioni colloalto e ad arruffarsi i capelli perché questi sono i simboli di quel tormento che esprime l’arte, la rottura, la rivoluzione.

Dell’Arti ci fa accomodare nei salotti buoni di case ordinate e linde e guardando la libreria ci accorgiamo subito che un libro, quel libro, è l’unica presenza costante. La noia di Moravia. E proprio come Dino in La noia l’Aurelio di Dell’Arti esprime la sua indispensabile rivolta attraverso il rapporto di amore, di insofferenza e alla fine di fuga da una madre che è, invece, simbolo di quella società che, già stesa sul letto di morte, stringe tra le dita il rosario obsoleto dei valori passati.