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Canna da zucchero e la passione di Rosa
Scritto da La SIcilia   
Lunedì 11 Maggio 2009 00:00

"Un libro pervaso di sensualità, un romanzo di formazione e di educazione sentimentale al femminile, per ricorrere a delle categorie note, dotato di ricchezza e polifonia tematica e linguistica". Così la prof.ssa Rita Verdirame, docente di Letteratura italiana nella Facoltà di Lettere e filosofia di Catania e presidente del corso di laurea in Scienze della comunicazione ha definito "Canna da zucchero", il primo romanzo della giornalista e scrittrice padovana Carla Menaldo, pubblicato da Marsilio e presentato nel Coro di notte del Monastero dei Benedettini.

"L’eroina cercatrice" della Menaldo, Rosa, è una "ragazza irrequieta e troppo complicata per stare bene negli schemi degli altri, nelle comode aspettative della propria educazione", e fa coincidere la ricerca della propria dimensione e della propria identità - "caotica, faticosa e a volte ingombrante" -, con un viaggio "dinamico ed evolutivo" che dalla natia città del nordest, la conduce a New York, nei Caraibi e poi a Parigi, nell’arco di un ventennio che va dall’abbandono dell’adolescenza fino alla conquista della maturità. Menaldo, che attualmente è anche responsabile dell’ufficio stampa dell’Università di Padova, collabora con riviste e siti Internet dedicati all’informazione della scienza e tiene conferenze e seminari sulla comunicazione pubblica, sul ruolo dei media e sulla lingua usata nella divulgazione scientifica, parla del suo libro come "un romanzo di viaggio in 3D", a partire dalla scelta del titolo: "La canna da zucchero è in primo luogo la materia prima da cui si ricava il rhum, bevanda amata dalla protagonista. Ma richiama anche contemporaneamente il sapore "fermentato e dolciastro del sesso, pervaso di una sensualità fatta di denti, braccia, occhi strizzati e angoli della bocca appiccicosi", e il suo stesso il suo contraltare innocente, l’unico dolce accessibile alla povertà dignitosa di migliaia di bambini dell’America latina". "La mia Rosa, a cui ho voluto donare un nome ’antico’ - ha proseguito Carla Menaldo - è una donna che, rompendo con l’ordine costituito del suo ambiente di provenienza, non ha paura di vivere seguendo i dettami della propria fisicità e i suoi desideri, anche se talvolta ambigui. Una fisicità non fine a se stessa, usata invece, nelle varie tappe di questo viaggio, come una modalità di conoscenza che non teme di servirsi dei sensi come strumento privilegiato di scoperta di se stessi e del mondo". E la sua ossessiva avventura, spinta dall’inconsapevole anelito della ricomposizione di una personalità disgregata nella tenace ricerca del proprio nucleo di verità, continuamente in bilico tra femminilità e mascolinità, tra desiderio di fuga in paesi lontani ed esotici, intrisa di passione "sfaccettata come una murrina veneziana", termina nell’incontro con l’unico uomo "improbabile e crepuscolare che diventa la sua libertà e il suo precipizio: un uomo che trasuda però sensualità, imprevedibilità, instabilità e, soprattutto, femminilità". Termina con la riscoperta delle radici, quelle stesse radici nascoste nel suo stesso nome, che la salveranno dalla disgregazione. Canna da zucchero è infine un viaggio nella lingua, ha osservato ancora la prof.ssa Verdirame: la ricerca di una scrittura precisa, pulita, ri-pulita anzi - come dichiara la stessa autrice - dagli eccessi descrittivi e dagli accesi psicologismi di una certa tradizionale maniera di fare scrittura "al femminile"; è il tentativo di trovare una parola che coniughi insieme, all’occorrenza, diversi registri linguistici, lingua colta e lingua secca, concreta e precisa, giornalistica.

 

  Canna_da_zucchero_e_la_passione_di_Rosa.pdf