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Dieci donne per Casanova
Scritto da Enrico Fiore - Il Gazzettino   
Lunedì 16 Giugno 2008 00:00

Qualcuno ha detto che Casanova era impotente, nel senso che la sua inesausta caccia alle donne rivelerebbe l'incapacità di possederne una qualsiasi in maniera soddisfacente. Ed io aggiungo che forse il gran libertino era anche omosessuale. In fondo è la stessa cosa: perché parlo dell'omosessualità quale la sentiva e viveva Genet, come desiderio di sé e, quindi, portato di una solitudine ontologica. In breve, accadeva a Casanova ciò che accade alle «Serve» secondo Jean-Paul Sartre: «[...] ciascuna di esse non vede nell'altra che se stessa distante da sé».

In altri termini, per l'avventuriero veneziano le donne erano soltanto uno specchio. E proprio il tema dello specchio presiede allo spettacolo "Lei. Cinque storie per Casanova" che, nato da un'idea di Luca De Fusco e prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, il Napoli Teatro Festival Italia presenta alla Certosa di San Martino nell'ambito della sezione "L'età nobile e il contemporaneo". Cinque scrittrici di oggi - Carla Menaldo, Benedetta Cibrario, Paola Capriolo, Maria Luisa Spaziani e Mariolina Venezia - danno voce ad altrettanti dei personaggi femminili citati dal Nostro nelle sue memorie: rispettivamente la monaca MM, maestra nell'arte dei sensi; Henriette, forse il primo amore di Casanova; la Charpillon, l'unica che dice no; Lucrezia, in-ventrice di un incesto di comodo; e Lia, l'unica che, una buona volta, seduce il seduttore per antonomasia.
Ebbene, in questo spettacolo -intelligente e fine, occorre dir subito - il citato tema dello specchio (sottolineato, del resto, dagli accenni al voyeurismo, alla masturbazione e al lesbismo) si svolge come il gioco delle scatole cinesi: non solo avviene, poiché scrivere è sempre guardarsi in uno specchio, che le cinque scrittrici in parola si guardino nei loro personaggi, ma succede pure che i loro personaggi si guardino in Casanova. Le donne qui rievocate utilizzano il mito e il ricordo del fascinoso cavaliere per parlare soprattutto di sé. E Casanova, dunque, rimane murato nella sua fissa prover-bialità, come - per riprendere l'efficacissima definizione della Spaziani - una «statuina del presepio napoletano».
Tutto questo è reso dalla regia di De Fusco con un acume e un'inventiva che sposano perfettamente le ragioni della letteratura a quelle del teatro. Si adotta, evidentemente, la forma dello Stationen-drama. Ma, nel compiere il percorso stabilito nei vari ambienti della Certosa, gli spettatori hanno l'impressione di aggirarsi in un appartamento vuoto e di trovarsi, entrando successivamente in cinque delle sue stanze, per l'appunto di fronte a uno specchio. La sensazione è acuita ulteriormente dalla stretta vicinanza - quasi un contatto fisico - del pubblico alle interpreti. E per giunta la specularità viene richiamata, insieme, sul piano realistico (lo specchio della toilette davanti a cui si trucca Lucrezia) e sul versante metaforico (la gabbia in cui è chiusa la Charpillon che ha ingabbiato Casanova).
Bravissime le attrici in campo: Giovanna Di Rauso (la monaca MM), Sara Bertela (Henriette), Gaia Aprea (la Charpillon), Anita.Bar-tolucci (Lucrezia) e Marta Richel-di (Lia). Ma elogio migliore non saprei fare a questo spettacolo del dire che mi ha fatto pensare a Sch-nitzler, il quale, d'altronde, nemmeno lui scherzava: visto che nel diario arrivò a registrare 593 amplessi per il solo 1889 e il 10 agosto dell'anno successivo annotò: «Se sono stato casto per un certo numero di giorni, sei o nove al massimo, divento semplicemente una bestia».
Preso dalla nostalgia, il suo Casanova, ormai vecchio, cominciò a girare come un uccello intorno a Venezia, «calando da libere altezze in sempre più strette volute». Ma, se ora volasse sulla Certosa di San Martino, a terra non ci arriverebbe. Lo aspettano cinque scrittrici e cinque attrici. Dieci donne. E hanno tutte la mira buona.

 

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