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Quelle vite sommesse - I Racconti della padovana Carla Menaldo
Scritto da Nicolò Menniti Ippolito - Il Mattino di Padova   
Lunedì 14 Marzo 2005 00:00

I racconti di Carla Menaldo hanno una loro dichiarata fragilità, un tono sommesso, raccontano episodi che potrebbero quasi sembrare inconsistenti, se qualcosa non li illuminasse: ora un ricordo, ora un gesto, ora un'immagine. Qualcosa che viene dal passato, spesso, perché L'unica cosa davvero (Cleup, pp. 125, euro 12) è una piccola antologia personale, che forse non è autobiografica nei fatti, ma lo è certo nei luoghi, perché racconta il senso di un'appartenenza cui non si vuole rinunciare. Carla Menaldo, giornalista e scrittrice, esordisce con questo libro, che a sua volta inaugura anche una nuova collana, intitolata «Vicoli», diretta da Saveria Che-motti, per rimarcare la scelta di strade secondarie, in qualche modo minori, rispetto alla letteratura corrente. Non sperimentazioni, ma percorsi individuali, magari stretti e tortuosi, ma anche suggestivi. E così è il libro di Carla Me-naldo, che in molti racconti, si sofferma su un piccolo mondo, quello dei Colli Euganei in cui è nata, che ha conservato, fino a pochi anni fa, una dimensione chiusa, raccolta, capace di trattenere più a lungo le tracce della memoria. Vite racchiuse in qualcosa di più elementare e quindi vero. Non a caso, anche i racconti che sono ambientati in luoghi diversi, conservano la stessa dimensione raccolta, anche quando si tratta di un'isola greca o di un souk tunisino. E' una questione di ritmo, anche, perché i racconti di Carla Menai -do si muovono con adeguata lentezza, restando a lungo indistinti, fino a che si chiudono con un piccolo strappo, spesso malinconico, che insieme chiude e spiega la storia. Per esempio quella di Beppe, contadino veneto che scappa dalla guerra, che sogna solo la sua terra e la ragazza che vuole sposare. E ci riesce, e condensa la sua vita in giorni di lavoro uguali e appagati, che vengono raccontati in una sola immagine, quella del contadino che sotto il portico mangia un'anguria mentre la moglie pota le rose. Oppure quella di un vecchio marinaio greco, che vede tornare il figlio che è diventato medico studiando a Padova, ma non riesce a restare lontano dalla sua isola. Tra i due c'è solo un abbraccio, che racchiude però un vortice di sentimenti, l'intero scorrere di una esistenza.
Ecco, nei racconti migliori Carla Menaldo riesce a trovare l'immagine che costruisce il senso delle sue storie, che percorrono in realtà percorsi sempre molto simili. Perché i ritorni sono molti, e molte le solitudini, mai raccontate però con disperazione, semmai con un certo intenerimento, in cui il dolore e la delusione, si stemperano in una sobria commozione per i luoghi, le parsone, le vite.

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