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Sangue di drago - recensione
Scritto da Paolo Perna   
Lunedì 07 Gennaio 2013 14:36

Pubblico qui una recensione al mio libro fatta da Paolo Perna con straordinaria sensibilità.

"La prima cosa che colpisce nella tua prosa è la velocità, l’essenzialità e la precisione nella scelta delle parole. Non hai bisogno – salvo rare eccezioni – di metafore che rendano maggiore chiarezza a ciò che scrivi.

Sarà una caratteristica tutta femminile? Comunque, mi sembra questo il tuo stile. Sta di fatto che Murakami Haruki, con il suo 1Q84, riempie 718 pagine per il libro I e II e 395 per il terzo libro con descrizioni tediose, ripetendosi più volte ed usando metafore melense del tipo: “…Per quanto tentasse di nascondersi tra la folla, spiccava come una scolopendra gigante nello yogurt…”

“…No, non sono pazzo. La mia mente è lucida, fredda e dritta come un chiodo d’acciaio nuovo fiammante piantato con precisione nel cuore pulsante della realtà….”

“…-Pronto, - disse con la bocca impastata di sonno. Aveva la sensazione di avere un cespo di lattuga congelata al posto del cervello. Alcune persone non sanno che l’insalata non va congelata…”.

In tutto questo parolaio, a mio avviso, perde di incisività anche una trama così fitta di immaginazione, intrighi e colpi di scena.

Certo, Sangue di drago ha più la forma del diario, del reportage di un cronista in viaggio, che di un romanzo noire a sfondo sessuale. Ma contiene tante punture di spillo che lasciano anche a chi legge l’onere di riflettere sulle cose. Tanto per dirne una, a com’è cambiato il modo di comunicare tra le persone con gli sms e fb che rendono più labile il confine tra realtà e mondo virtuale..”Tutto quello che la rete fa, lei stessa lo disfa..”. E poi anche il modo di parlare del sesso praticato marca la differenza di stile con l’universo maschile [es. l’esplicitazione di un vocabolario sessual-dialettale in Autobiografia erotica di Aristide Gambia, di D. Starnone o la semplice allusività in Due storie sporche, di A. Bennett, tra le mie più recenti letture].

Il punto di vista che Aspasia vuole rappresentare è, secondo me, il rapporto, o meglio, la persistente contrapposizione tra Eros-Thanatos. L’amara consapevolezza del tempo che scorre erodendo la giovinezza, la bellezza, la vita fino a sfumare nel vuoto dell’assenza. “…E poi è stata legittima difesa. Non avevo altro modo per difendermi dalla sua assenza..”. Quale affronto maggiore che regalare una crema antirughe ad una donna che ama, che crede fortemente nella vita vissuta pienamente? E poi godere del suo corpo in un ermetismo assoluto e senza un briciolo di dolcezza? Ed ancora “..Ho sempre avuto bisogno di sesso in mezzo alla morte. Forse la mia forma escatologica di salvezza…”. Addirittura un fatto psicologico “…Il mio problema è sempre stato il sonno. Non è un ritmo naturale per il mio corpo, soprattutto per la mia mente, è lei che non dorme mai, come se non ne avesse bisogno, come se avesse paura di spegnersi per sempre. Come se intuisse che il sonno è solo uno specchio un po’ deforme di un’eternità inevitabile…”.

Vendetta o giustizia terrena o autodifesa muovono la mano di Aspasia che brandisce un semplice (ma pesante) bastone appendiabiti per fracassare una testa che porta la colpa di essere sempre in un altrove. Un uomo può uccidere per gelosia, per essere stato abbandonato, per puro istinto di violenza contro qualcun’altro, ma una donna lo fa per un istinto di sopravvivenza, per difendere se stessa. Aspasia tanti ne ha lasciati di uomini e da tanti è stata lasciata, ma tutti possono tornare, come l’attore che l’ha sedotta anni prima, come l’intellettuale che le dava luce, ma lui no. A Bruno, Aspasia – ferina come una lince pardina - non ha concesso di poter tornare, nonostante la riempisse fisicamente facendola godere.

Tra un dio onnipresente ma che non si sa che forme abbia, e gli dei materializzatisi in pianeti, tu scegli una metafisica del sesso al femminile. La ricerca di una piena compenetrazione [fisica e mentale] è probabilmente un tòpos tutto femminile che diventa una quasi religione per Carla-Aspasia. Ed è qui che si ricongiunge la narrazione letteraria con la riflessione autobiografica che ricomprende le proprie origini e radici [le code dei conigli, la macellazione del maiale, i primi amplessi in auto interrotti da vigili-ma un po’ sciocchi- carabinieri, la figura paterna e quella materna..] e che vive del presente [il pianista sul Liston sotto le finestre dell’ufficio, il chitarrista di Barcellona sotto il porticato…]. Non è difficile vedere queste due donne sovrapporsi nel racconto con la propria forza vitale, con il proprio io in primo piano, mentre il resto fa da sfondo, come gli azulejos alle pareti dell’ex bordello e come l’italiano in vacanza incontrato per caso, che diventa un amante, vigoroso ma senza odori."

Paolo Perna