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VENEZIA SCALZA di Pier Maria Gaffarini
Scritto da Carla Menaldo   
Mercoledì 03 Marzo 2010 11:09

Un inedito ritratto veneziano, un percorso che attraversa il tempo, le calli, i muri  dei palazzi sbrecciati sileziosi ed eleganti nella loro decadenza nobile e raffinata. Un viaggio nella laguna verde e salmastra che annuncia la libertà imperiosa e assoluta del mare.

Potrebbero essere Memorie, ma delle memorie non hanno la fissità, il lucido distacco regalato dal tempo, e non hanno nemmeno l’odore di muffa e di vecchio che accompagna le cose andate.

Quello di questo raccontare è un passato-presente, un tempo diverso che si colloca nel sangue e nel cuore e lì continua a scorrere, pulsante, vivo.

E come un vaticinio dopo poche righe appare la striga, sopravvissuta ai processi dell’Inquisizione, seduta sulla porta di casa, vicino alla vera da pozzo che con l’unghia curva e tagliente predice futuri per gioco.

 

Pier Maria Gaffarini torna in luoghi da cui non se n’è mai andato e dove vuole portare il lettore con la complicità della confidenza, del sussurro, del ri-trovato in un viaggio di calli, muri crepati, grida veneziane di corti e campi, dentro una giovinezza di soldati e macerie, di pesci galleggianti nell’acqua esplosa della laguna.

È il percorso di una vita singola che diventa via via corale, che si fa movimento, è una mano che dipinge interni mai chiusi, pronti a riversarsi per strada, le strade senz’auto, senza carreggiate e senza alberi di una Venezia che, pure violata dalla guerra, protegge i suoi figli e l’intimo delle sue case diventa rifugio, quotidianità, scampo.

Vorresti averla vista, questa Venezia spaccata eppure intatta, e ti viene l’improvvisa nostalgia di qualcosa che non hai mai vissuto ma che pure ti pare t’appartenga, vorresti respirare quei fumi di salmastro d’inverno, oppure la brezza leggera di calori mucidi e pungenti, vorresti alzare gli occhi e vedere alla finestra quella ragazza di cui ti sei innamorato senza dirglielo, o frequentare quel Regio Istituto Statale d’Arte che, pure nei dettami del Fascio, ha inevitabilmente liberato le espressioni.

 

“Vorrei lasciare ai miei nipoti l’abbraccio eterno del loro – nostro - comune passato. Così, semplicemente, come si lascia una storia che ci accompagni nel sonno la notte” mi disse Pier Maria Gaffarini guardandomi dritto negli occhi dall’altro lato della scrivania. Questo signore veneziano, distinto nei modi e nelle parole appena velate di quel marchio di nobiltà che è l’accento lagunare, mi chiedeva di dare un’occhiata ai suoi scritti. Avrei avuto, da quel momento, un insanabile debito verso di lui, perché non hanno prezzo le emozioni né la bellezza inedita di questi intensi e preziosi ritratti.